
Il mese che Liam Murphy amava di più, in particolare per le sue battute di pesca, era senza dubbio settembre; per la suggestione che suscitavano in lui il mutare dei colori degli alberi e l’accorciarsi delle giornate, ma soprattutto per la luce, così vivida e al tempo stesso rarefatta, capace di annunciare con discrezione le profonde trasformazioni che sarebbero presto arrivate con l’autunno. Fedele a un rito che si ripeteva con sperimentata metodicità, durante questo mese, Liam era solito passare più ore sui fiumi delle Catskill Mountains che tra le pareti del suo ufficio di Manhattan o a Wall Street.

Proseguirono lungo la Third Avenue fino a quando, in prossimità di Union Square, cominciarono ad apparire le prime bancarelle stipate di colorati e attraenti vegetali d’ogni tipo. In un attimo, tutti i sensi di Liam s’allertarono, facendolo cadere in una specie di trance che lo portò a dare inizio alla frenetica ricerca degli ingredienti per i menu del pranzo e delle sue prossime cene, costringendo David a un’attenta marcatura a uomo per non rischiare di perdersi tra la folla. Liam era un grande appassionato della cucina italiana e, soprattutto, della dieta mediterranea, che lui considerava alla stregua di un vero e proprio stile di vita. Si concentrò dapprima su di una delle sue verdure preferite, i peperoni, scegliendone una mezza dozzina tra verdi, rossi e gialli, non prima però di averli intensamente annusati. Passò poi alla ricerca delle insalate, cadendo ancora una volta sull’accoppiata rucola e lattuga, per continuare con le erbe aromatiche, facendo incetta di basilico, prezzemolo, menta e rosmarino.

Saliti sul suo pick-up, percorsero in direzione opposta la RN3, fino a quando svoltarono nella più stretta RN288, che li condusse, nel giro di una mezz’ora, in prossimità di un gruppo di basse case bianche dal caratteristico tetto spiovente color rosso mattone. Miguel rallentò l’andatura e s’inserì in una strada polverosa che, dopo una serie di curve e saliscendi tra ondulate collinette, terminò nei pressi di una delle lineari costruzioni.
Scesero dalla vettura e Miguel, con la stessa espressione di un bambino che sta per mostrare all’amico il giocattolo a lui più caro, e con entrambe le braccia protese verso il fiume che scorreva di fronte a loro, esclamò: – In quelle acque, nuotano indisturbate le più grandi trote che io conosca. Domani, le potrai sfidare, con il mio aiuto, naturalmente!
La mattina, consumata la colazione, i due pescatori salirono in macchina e percorsero impazienti il breve tragitto che li separava dal fiume, dov’era ormeggiata l’imbarcazione di Miguel. Vi caricarono tutto il necessario e, rompendo il silenzio mattutino, si lanciarono alla volta di nuovi lidi. Scesero a valle alcuni chilometri, fino a quando, giunti in una placida ansa, Miguel spense il motore.
– Prepara la canna. Pescheremo qui, lasciandoci trasportare dalla corrente – disse.
Liam eseguì le operazioni di routine e, dopo aver affrancato saldamente al terminale un grande streamer scuro, iniziò ad allungare ritmicamente la lenza e a setacciare le zone prospicienti la riva. Non aveva molta pratica nella pesca dalla barca, ma vi si abituò d’immediato e, nel giro di un paio d’ore, agganciò la prima preda che, manovrata con abilità, terminò la sua involontaria avventura nel guadino di Miguel. Una vigorosa steelhead dalla livrea argentata che, una volta liberata dall’amo, scomparve nel profondo delle acque. Continuarono a pescare per tutto il pomeriggio, con l’intermezzo di una breve sosta pranzo in una spiaggia arenosa che separava in due il fiume, ormai prossimo a gettarsi nell’Oceano Atlantico. Verso sera, accompagnati dal vento che si era nuovamente sollevato, rientrarono alla base. Dopo essersi congedati da Estela e Carlos, con ancora negli occhi le immagini di quei due giorni passati ai confini del mondo, ripresero la via per Piedra Buena.

Era quasi il tramonto, quando valicarono Paso Huemules, limite tra la Provincia del Chubut e quella di Coyhaique.
– È come vedere un dipinto di Van Gogh fondersi in uno di Renoir. Il giallo che si perde nel verde, senza un principio, senza una fine – commentò Liam, rapito dalla visione che si presentò davanti ai loro occhi.
Catene montuose dalle candide cime delimitate da boschi di conifere, si stagliavano possenti all’orizzonte, facendo da cornice a dolci declivi adibiti al pascolo e alla coltivazione di erbe da foraggio.
– In quella piana che stiamo per raggiungere, c’è l’aeroporto di Balmaceda. Se non ti allontanerai troppo, ripartirai da lì. Ci sono voli per Santiago del Cile quasi tutti i giorni – precisò Miguel.

Dopo aver percorso alcuni chilometri in direzione nord, il paesaggio mutò di colpo, con la Carretera Austral che, trasformatasi in una compatta pista di pietrisco, andava snodandosi tra verdeggianti pascoli solcati da filari di cipressi della cordigliera. Poi, superato un valico, Liam visse una seconda volta, all’inverso, l’alternanza cromatica che caratterizzava il passaggio tra i due Paesi limitrofi. All’orizzonte, monolitici rilievi affioravano qua e là dalle brulle radure della pampa, inondate, a quell’ora, dalla gialla luce soffusa dei primi raggi di sole che cominciavano a farsi strada tra sottili nubi ormai prossime a dissolversi.

Da lì, nel giro di poco, giunse nel vasto altipiano dove scorreva placido, tra le alture cilene e la meseta argentina, il Rio Ñireguao.
In passato, aveva già vissuto l’esperienza d’avventurarsi da solo in luoghi inesplorati e ciò, se da una lato lo affascinava, dall’altro gli incuteva un certo timore, se non altro per il rischio d’imbattersi con la non sempre amichevole fauna locale; come gli era accaduto alcuni anni prima a Vancouver Island, quando un orso attraversò il fiume dove stava pescando, mettendolo in fuga. Questa volta, invece, la quiete prevalse sul turbamento, facendogli provare la rara percezione di essere il solo, l’unico, in una sorta di paradiso terrestre libero da fiere e fatali tentazioni.


Rio Paloma, Regione dell’Aysén, Cile
A mano a mano che s’avvicinava al fondovalle, incuneandosi in una stretta gola, gli alberi, i sassi, e l’acqua verde smeraldo, evocavano in lui un crescente senso di familiarità, come se quelle immagini già albergassero in qualche recondito angolo della sua mente. Quando attraversò il ponte che tagliava in due la vallata, non ebbe più dubbi: l’altro fiume, sognato flusso rinnovatore, capace di congiungere il passato col futuro, era lì, di fronte ai suoi occhi. Scese dall’auto e s’affacciò al parapetto; prima verso valle, dove s’apriva in ampie spianate, poi a monte, dove s’incanalava tra ripide pareti.

Lasciatisi alle spalle la Ruta 7, dopo un lungo tratto di strada sterrata, delimitato da ininterrotti filari di alberi, sbucarono in quella che sembrava essere l’unica spiaggia del Lago Paloma, immobile specchio d’acqua che si distendeva, come un lungo tentacolo, tra impervi strapiombi rocciosi. Il solo manufatto che si poteva notare, era un pontile in cemento stipato di legna da ardere, a simboleggiare il capolinea del mondo terreno e, al medesimo tempo, il trampolino verso un estatico mondo trascendentale. Quando Manuel arrestò l’auto, e l’assordante rumore del silenzio ebbe il sopravvento, Liam capì che quel nome, Paloma, non era affatto casuale; la colomba, candido emblema di pace che l’uomo le aveva illusoriamente attribuito, non poteva essere stata concepita in nessun altro luogo del pianeta.

Giunti al termine della strada che sfociava in riva al lago, Liam provò una sensazione inusitata: tutto gli parve così immobile e uguale a ciò che vide solo tre giorni prima, da pensare che il tempo si fosse fermato. Complice il perdurare della calura estiva, che risvegliava in lui sopiti istinti giovanili, si lasciò pervadere da quell’atmosfera, i cui effetti si sarebbero presto fatti sentire sotto l’imprevedibile regia della sua compagna d’avventura.

Poi, dopo che David salì a bordo, partirono alla volta della zona montana preferita dai newyorchesi. Il traffico e un forte temporale rallentarono il loro ruolino di marcia, motivo per cui giunsero a destinazione con il sole che stava già scomparendo dietro le alture; alture che, per la prima volta, gli parvero monotone, contrastando, nella sua mente ancora intrisa d’immagini al limite dell’epico, con la maestosità della Patagonia. Il tempo, tuttavia, lo avrebbe di certo aiutato, resettando i neuroni di quella parte del cervello adibita a percepire suggestioni e misure degli spazi, riportandolo in armonia con quei luoghi che lo avevano visto crescere, e non solo come pescatore.

Più tardi, dopo che Irene ebbe comunicato con la famiglia, e col sole all’apice del suo tracciato celeste, uscirono di casa, inoltradosi nel dedalo di vialetti, sovrastati da ricurvi ciliegi in fiore, dell’immenso parco cittadino. Lo attraversarono da nord a sud, senza fretta, anche se Irene si dimostrava impaziente di conoscere la parte moderna, e meno bucolica, di New York.
– Riconosco che avere un bosco in pieno centro sia un privilegio, ma ti devo confessare che non vedo l’ora di entrare nel vivo di Manhattan e sentire l’ombra dei grattacieli incombere su di me – commentò lei.

Accompagnata dalla piacevole sensazione che lui la stesse seguendo con lo sguardo, entrò in acqua e iniziò a far volteggiare la sua lenza. Dopo alcuni improduttivi lanci, giunse il primo segnale di vita: una decisa bollata alla quale seppe rispondere con tempestività, catturando la sua prima trota nordamericana. La limitata mole del pesce le consentì un facile recupero, al termine del quale, notò che la sua livrea, pur essendo quella tipica della specie fario, presentava colori e contorni poco marcati. La scoperta la stupì non poco, considerando che il suo termine di paragone era ciò che popolava le acque cilene, e che discendeva direttamente dal materiale ittico giuntovi a inizio Novecento da allevamenti europei o statunitensi. Pareva quasi che le caratteristiche genetiche dell’antico ceppo autoctono, proprio in una delle zone d’origine, si fossero annacquate col tempo.