MUSICA

– Ciao, Siri. Suona “Too long in exile” di Van Morrison – pronunciò con voce decisa, entrando in casa. Dopo pochi istanti, cominciarono a diffondersi le note del brano musicale con cui Liam era solito accompagnare i suoi rari momenti di malinconia. Da tempo, era alla ricerca della spinta necessaria per rimettersi in gioco e sperimentare di nuovo quelle emozioni che solo la sua città sapeva offrirgli; aveva bisogno di vagare senza meta per le strade di New York, di ubriacarsi e, perché no, di perdersi tra le braccia di una seducente donna disposta ad assecondarlo almeno per una notte. Normalmente, avrebbe represso certi pensieri, concentrandosi su cosa cucinare; quella sera, invece, aprì il frigorifero, si versò un generoso bicchiere di Sauvignon Blanc, e s’accomodò in poltrona lasciandosi trasportare dai versi del suo cantautore preferito. “Too long in exile”, ripeteva l’incalzante leitmotiv della canzone, sussurrandogli in modo persuasivo che era venuta l’ora di abbandonare l’esilio volontario nel quale si era troppo a lungo rifugiato.

Appena varcato l’ingresso dell’appartamento, David giocò d’anticipo e pronunciò con voce squillante: – Ciao, Siri. Suona “Ready For It?” di Taylor Swift.
Dopo pochi secondi, gli HomePod di casa iniziarono a riprodurre le trascinanti note della canzone, sulle quali il ragazzo improvvisò una sorta di sfrenata danza.
– Vedo che non ci vuole molto per farti muovere. Sfogati adesso, perché dopo sarà tutta un’altra musica! – esclamò Liam, trattenendosi a fatica dalle risa.
David continuò imperterrito a ballare fino a quando l’ossessivo brano terminò; quindi si gettò tra le braccia di suo padre e, ridendo anche lui a più non posso, disse: – Ora, sono pronto per mangiare. Cosa passa il convento?

Si liberò del formale abito scuro e indossò un paio di jeans con una camicia bianca; poi accese il televisore della sala, e navigò nel menu dell’Apple TV fino a quando, in tutto l’appartamento, risuonarono le note della playlist che aveva scelto per dare inizio alla serata. Quindi prese una bottiglia, e la ripose nel congelatore per accelerarne la refrigerazione in vista di un primo inebriante aperitivo. Approfittò infine dell’attesa per mettere ordine nella sequenza delle ricette e, una mezzora più tardi, stappò il primo Bellavista. Versò con delicatezza il brioso nettare in una delle sottili coppe di cristallo di Boemia che gli aveva regalato un’amica italiana, e ingollò la prima solleticante sorsata. Bere nella classica coppa da champagne, rappresentava per Liam la miglior modalità per godere al massimo dei vini spumosi; era contrario all’uso della flûte, che a suo parere ne limitava la loro naturale esuberanza. Mentre in sottofondo risuonavano le vibranti note del pianoforte di Keith Jarrett, più disteso grazie a un’altra generosa dose di spumante, cominciò a cimentarsi nella macchinosa operazione dell’apertura delle ostriche.

Terminata la pasta, si trasferì in salotto, e si lasciò cadere sul divano di fronte al televisore, dove scorrevano le ipnotiche immagini di città e paesaggi a lui per lo più conosciuti.
“È ora di cambiare musica”, considerò Liam.
Mosso da un’arcana ispirazione, prese il telecomando e scelse una raccolta di Van Morrison, i cui brani densi di misticismo lo avrebbero presto condotto in un viaggio notturno a ritroso nel tempo. Adesso che con il divorzio la resa dei conti era arrivata, se da un lato s’era illuso d’essersi alleggerito la coscienza, dall’altro doveva tuttavia sopportare il peso di quanto dissimulato per quasi due anni, sapendo benissimo in che misura ciò avesse influenzato la fine del suo matrimonio.

Il risveglio fu meno brutale del previsto; un’antica nostalgia, si era infatti insinuata in lui, dileguando le ombre della notte e relegando in secondo piano persino i postumi della generosa bevuta. Riaffiorarono nel suo inconscio le immagini del suo primo innamoramento adolescenziale, quando, in una calda notte d’agosto, ballando al lento incedere di “Something” nella struggente esecuzione di Joe Cocker, manifestò a Jane tutto il suo ardore. Liam non aveva mai dimenticato quella ragazza dai tratti vagamente levantini, che era approdata all’improvviso a Livingston Manor, sconvolgendo le sue tranquille vacanze estive. Rivedeva i suoi occhi scuri da cerbiatto sorridergli come allora, e sentiva le sue labbra carnose rispondere ai suoi baci, ma allo stesso tempo fuggirne, come se qualcosa d’ignoto le impedisse d’abbandonarsi del tutto a lui. Ancora adesso, non riusciva a spiegarsi perché quell’appassionata infatuazione giovanile, nonostante alcuni reiterati tentativi, non avesse mai preso il volo, arenandosi in una sorta di limbo popolato dai dubbi e dalle limitazioni di entrambi.

Prima di occuparsi del menu, pensò che gli sarebbe stato d’aiuto rilassarsi; ebbe tuttavia l’accortezza di estrarre dal congelatore i filetti di branzino e salmone, e di riporli in un piatto in attesa di poterli poi lavorare. Quindi s’avvicinò all’HomePod della cucina, e ordinò: – Ciao, Siri. Suona Mark-Almond shuffle. Le raffinate note infuse di jazz e blues di questo pressoché sconosciuto duo britannico, iniziarono a risuonare in ogni stanza, creando un’atmosfera in perfetta armonia con il momento e con un paesaggio urbano che stava mutando silenziosamente sotto l’incedere della prima neve. Sdraiato sul divano di fronte alla finestra della sala, si apprestava così ad attendere il crepuscolo, con tutta la suggestione che avrebbe portato con sé. 

Ma prima di passare ai fornelli, cosa ne dici di un brindisi?
La guidò verso la cucina, prese la bottiglia di Bellavista e, dopo averla aperta con disinvoltura, riempì le due coppe che aveva già predisposto a tavola.
E mentre le porgeva l’elegante bicchiere nel quale s’agitavano ribelli miriadi di bollicine, aggiunse con voce suadente: – Al mistero che avvolge ogni incontro.
– Alla neve che in silenzio copre ogni cosa – replicò Susan, stringendo il calice nella mano.
Poi, le loro coppe si urtarono impercettibilmente, dando inizio al magico rito della vicendevole esplorazione.
– Sai una cosa? Sei molto diverso dalla maggior parte degli uomini che frequento – sentenziò Susan.
– Perché? – domandò Liam, mentre la invitava a sedersi.
– Perché nessuno si sognerebbe mai di accogliermi con un inconsueto spumante italiano e una musica talmente rara che credo solo tu conosca – rispose lei.
– Impressioni? – incalzò Liam, guardandola con un certo stupore. 
– Nel bere, originalità. E la musica? Direi rarefatta, come l’atmosfera di questa notte d’inverno – concluse Susan, sicura di aver colpito nel segno.

– Scegli tu il dolce finale che preferisci. Sarà un piacere potertelo servire – fu il sibillino messaggio che le inviò Liam.
Susan, la cui crescente eccitazione prese il sopravvento su qualsivoglia peccato di gola, non ebbe alcuna esitazione; afferrò il suo iPhone, si fece dare la password del Wi-Fi, aprì l’App Musica, e digitò: “Time Waits For No One”.
Selezionò l’icona “ripeti” e, con lo sguardo più innocente che potesse esibire, si volse verso di lui e disse: – È il mio ultimo consiglio, ascoltalo bene.
Nel giro di pochi istanti, tutti gli HomePod iniziarono a diffondere la dirompente voce di Mick Jagger ribadire in modo quasi ossessivo: “And time waits for no one, and it won’t wait for me”.
Poi, il suo volto s’illuminò di un lampo di follia e, con il respiro che si faceva sempre più agitato, proseguì dicendo: – Non aspettare, servimi il tuo dolce in tutti i modi che sai, come in un menu senza fine.

Miguel non commentò e, dopo aver rallentato l’andatura, svoltò a destra, fermando il mezzo di fronte a una casa azzurra dai robusti infissi in legno color caffè, dove svettava un’insegna luminosa che disegnava nel buio un nome che era tutto un programma: El Delirio. Entrarono accolti dalle note di “Who’ll Stop The Rain”, che scaturivano assordanti da un juke box posizionato al centro del locale, a sua volta circondato da una serie di anelli composti da sedie e tavolini dalle fogge più disparate, che concedevano spazio solo a un imponente bancone rivestito di lastre di rame, dietro il quale, ben allineate ma senza un ordine preciso, facevano bella mostra decine di bottiglie di vodka.
“Comincio a capire il nome del bar”, pensò tra sé Liam, affascinato dallo spettacolo.
– Bentornato, caro Miguel. Chi fermerà la pioggia, stanotte? Forse tu? O forse il tuo amico? – esordì a voce alta, riprendendo il ritornello della canzone, un esotico cinquantenne con l’espressione dell’eterno ragazzo stampata in volto.

In piedi, uno a fianco dell’altro, iniziarono a scorrere velocemente i titoli dei brani, quasi tutti degli anni Settanta, prima che Miguel inserisse i suoi primi due gettoni nel coloratissimo Wurlitzer; Liam fece altrettanto, quindi, ordinarono un secondo giro. Passarono alcuni minuti in silenzio, suggestionati dai suoni e dalle parole di una colonna sonora di un tempo che non avevano vissuto, ma che ora, per qualche recondito motivo, sembrava toccarli nel profondo. Quando cominciò a diffondersi l’inconfondibile attacco di “Forever Young”, a Liam tornò in mente uno degli episodi che più aveva segnato la sua adolescenza.
Un giorno, in uno dei giri che usavano fare per le strade di New York, suo padre lo condusse al Generation Records Store, vera e propria Mecca per gli appassionati della musica su vinile. Quando entrarono nel negozio, dove facevano bella mostra, divisi per generi musicali, centinaia di long playing dei più famosi cantanti e gruppi del periodo, Liam cominciò a scartabellarli incuriosito, fino a quando s’imbatté nell’album Planet Waves di Bob Dylan. Folgorato dalla candida copertina, dove si stagliavano tre indecifrabili volti tratteggiati a carboncino, chiese a suo padre di comprarglielo.
Ora, a quasi trent’anni di distanza, quell’inno all’immortale giovinezza dello spirito, che a suo parere, da solo, valeva il Nobel per la letteratura attribuito al visionario menestrello americano, tornava a indirizzare con prepotenza la sua vita. Mai come quella sera, in quel remoto angolo del pianeta, si era sentito pervadere così intensamente dai versi di quel poema in musica, che lo spronavano a regalare nuovi lineamenti al suo futuro.

A riportarlo alla realtà ci pensò Miguel che, dopo aver depositato a tavola un terzo vassoio colmo di leccornie, ruppe la tranquilla atmosfera creatasi con le ballate che si erano succedute fino a quel momento, gettonando “Southern Man”, un dirompente pezzo rock di Neil Young. Incitati dalla nota guida locale, che sotto l’effetto delle bollicine aveva perso ogni freno inibitore, alcuni giovani sulla trentina, che nel frattempo avevano popolato il bar, s’alzarono all’unisono lanciandosi in un ballo scatenato. Il tutto sotto gli occhi scintillanti di Lorenzo, che continuava a mescere senza sosta i suoi coloratissimi drink.

Arrivato al resort, lo accolse la tranquillizzante atmosfera della sua cabaña, che un denso manto di aghi di pino, tutt’intorno, rendeva ancor più ovattata. S’approvvigionò di una buona quantità di legna e, dopo essersi assicurato che la stufa si fosse avviata a dovere, si rinfrescò e si lasciò sprofondare in poltrona; poi, si servì un primo bicchiere di Merlot, abbandonandosi alle intimistiche liriche di Van Morrison e Joni Mitchell. Cadde in una sorta di stato di beatitudine, alimentato dalla consapevolezza d’aver attraversato il volatile confine tra miraggio e verità; si sentì pervadere ancora dalla folgorazione vissuta la mattina sul fiume, il cui significato profondo non avrebbe mai saputo quale fosse, risolvendo che, in un mondo dove tutto è illusione, la realtà si possa comunque plasmare, riorganizzando ogni giorno la propria vita.

E per Liam un fatto era certo: se aveva trovato l’altro fiume, avrebbe ritrovato anche l’altra donna, acqua fresca e chiara che nessuno s’era da tempo spinto a bere. Dopo aver dato fondo a tutte le libagioni, rimase lì, cullato dalla musica, fintanto che il sonno s’impadronì delle sue membra e dei suoi pensieri.

Erano quasi le otto, quando lo ridestarono le voci di Irene e Lucas, che echeggiavano in lontananza. Si rese subito conto di aver poco tempo, per cui si precipitò sotto la doccia, si vestì, ed estrasse dal frigo una birra che bevve in poche sorsate, rinfrescando al contempo gola e neuroni. Infine, sospinto delle note di “Gypsy Woman”, che fuoriuscivano incalzanti dal suo inseparabile altoparlante Bluetooth, si diresse verso casa di Irene. Quando la porta s’aprì, non poté far altro che ammirarne estasiato l’armoniosa figura e i particolari tratti del viso, scaturiti da chissà quali antichi movimenti cromosomici. Una camicia bianca e una lunga gonna nera, contribuivano a esaltare la sua naturale bellezza, che un filo di trucco agli occhi ambrati rendeva davvero unica.

La prima cosa che gli venne in mente fu di chiamare Miguel; lo mise al corrente degli ultimi avvenimenti che, a dire il vero, non lo stupirono più di tanto. Anche in questo caso, intuizione e fatalità, avevano svolto il loro imprevedibile ruolo con l’occulta regia dell’amico, o meglio dell’oracolo, che gli era stato predestinato. Poi, il desiderio di rivedere Irene lo assalì di nuovo; e, mentre ballate evocative di amanti appassionati scaturivano senza tregua dal suo magico diffusore colorato, gli apparve nitida l’immagine di loro due, camminando lungo le rive dell’altro fiume.

Salutò il portiere di turno, raccolse la posta, e salì in ascensore. Come varcò la soglia dell’appartamento, attivate da un sensore, si accesero le luci del corridoio e si alzarono tutte le tende; contemporaneamente, gli HomePod iniziarono a riprodurre “Here Comes The Sun”, il brano di benvenuto che Liam aveva programmato prima di partire. Era vissuto tre settimane senza tutti questi agi e, a dir la verità, l’improvviso ritorno alla tecnologia spinta, fu più un turbamento che un piacere. Ci pensò comunque la musica dei Beatles a metterlo di buon umore e a indurlo a toccare con delicatezza, sullo schermo del suo iPhone, il nome di Irene. Erano le dieci del mattino per tutti e due, anche se in due emisferi diversi e a quasi diecimila chilometri di distanza.

Rientrò a casa verso sera, non prima, però, di aver fatto la spesa; pur vivendo solo, Liam non era avvezzo ad andare spesso al ristorante, privilegiando la sua naturale passione per la cucina. Entrato in casa, si mise comodo, saturando poi l’ambiente con le rilassanti ballate di Paul Simon, che non ascoltava da tempo. Aveva bisogno di pace, per riflettere sulla sequela di fatti, molti dei quali imprevedibili anche da parte del più ardito dei veggenti, che lo avevano pressoché travolto durante le ultime tre settimane.

– Benvenuta nel nido dell’aquila – disse Liam, precedendola e attivando, così, lo show tecnologico che oltre ai consueti giochi di luci, propose all’istante le melodie che aveva scelto per il suo arrivo.
– Meno male che questo rapace solitario non si è dimenticato di me, in tutto questo tempo – commentò lei.
Poi, si tolse il giubbotto, mettendo in mostra quella canottiera cachi che già era stata capace di turbare i suoi sonni e, con un’espressione al limite dell’impudico, aggiunse: – Ho pensato che ti avrei fatto un regalo, indossandola ancora.
Senza fare alcun commento, Liam la prese in braccio e, dopo aver percorso il corridoio che li separava da camera sua, la depositò sul letto. Poi, spronato dalle note di “Sweet Thing” che stavano echeggiando nella stanza, le slacciò le scarpe da tennis e le sfilò calze e jeans con l’abilità di un prestigiatore; fece lo stesso con lo slip, lasciandola guarnita solo di quella maglietta sulla quale, l’eccitazione, si stava mostrando in tutta la sua prepotenza. Infine, con le labbra aderenti alla pelle, percorse avanti e indietro le sue gambe, fino a raggiungere la sorgente di vita alla quale s’abbeverò senza sosta, inabissando entrambi nel sapido mare del piacere.

– Qual è l’aperitivo che più rappresenta questa città? – chiese Irene, quando si trovavano ormai quasi al termine del lungo viale.
– Senza dubbio il Manhattan, anche se io voterei per il Dry Martini – rispose Liam.
– Ho un’idea, visto che abbiamo ancora tempo, perché non andiamo all’Hard Rock Café? È un po’ caotico, ma è un’attrazione che merita d’essere conosciuta, così come i suoi hamburger – propose.
– Aggiudicato! – accettò, entusiasta, Irene.
Entrando nel bar, sovrastato dall’iconica chitarra elettrica appesa alla facciata, furono accolti dagli inconfondibili accordi di “All Along The Watchtower” nella ruggente versione di Jimi Hendrix. Si sedettero a un tavolo e, quando li raggiunse una giovane ragazza in caratteristica divisa nera, Irene ordinò un Manhattan e un Dry Martini; per placare la fame, decisero per due hamburger accompagnati da altrettante birre bionde.

Quando giunsero nei pressi di casa, li accolse in lontananza una melodia dagli inconfondibili toni irlandesi.
– Dovresti aver già capito quale sarà il leitmotiv della serata. Da chi altro avrei potuto ereditare il gusto per la miglior musica degli ultimi sessant’anni? – commentò Liam.
– Mio figlio ti avrà di sicuro fatto ascoltare Van Morrison, ma non in questa versione con i Chieftains, ne sono certo – esordì Ryan, mentre risuonavano le melanconiche note di “Raglan Road”.
Li guidò subito in salotto, dove aveva predisposto, sul tavolino di fronte al divano, una pila di dischi in vinile e una bottiglia di vino.
Poi, dopo aver preso dalla dispensa quattro calici di cristallo, li riempì con zelo e, mostrando fiero l’etichetta che recitava Cannonau di Sardegna, proclamò: – Un vino speciale per una ragazza speciale.
– Vino italiano e musica irlandese, il massimo! – esclamò Irene, baciando, nell’ordine, prima Ryan e poi Mary e Liam.

Accompagnati dal vino e dagli sfiziosi stuzzichini di Mary, passarono così tutta la serata, immersi in una colonna sonora che ebbe il suo culmine nel momento in cui Ryan, un po’ malfermo sulle gambe, depose la puntina su di un trentatré giri di Van Morrison, e si congedò dicendo: – Questo pezzo è per voi, vi consiglio di ascoltarlo fuori. A domattina.
– Buona notte, signor Murphy. È stata un’esperienza indimenticabile – disse, emozionata, Irene.
– Papà, te lo devo confessare, non ti avevo mai visto così ispirato. Grazie – aggiunse Liam.
Dopo aver salutato anche Mary, Irene e Liam uscirono in veranda; li inondò il chiarore del plenilunio, che aveva già avvolto ogni cosa col suo suggestivo manto. Come rapiti, si presero per mano e scesero i gradini che conducevano in giardino, dove ogni singolo filo d’erba, sospinto dal vento e accarezzato dalla luna, sembrava assumere nuova vita.
Rimasero lì, in piedi, catturati dalle parole della canzone che li esortava ad aprire la porta della loro anima:
“… And we touched each other lightly
And we felt the presence of the Christ
Within in our hearts
In the garden
And I turned to you and I said
No guru, no method, no teacher
Just you and I and nature
And the father in the garden
Listen no guru, no method, no teacher
Just you and I and nature
And the Father and the
Son and the Holy Ghost
In the garden, wet with rain…”